. Condannato perchè cantava.                      

        Non era ancora consapevole che il Natale 1958 sarebbe stato l'ultimo. Quest'avvenimento è descritto dal dottor Anton Neuwirth, che in quel periodo fu suo compagno di prigione a Leopoldov: "Quando sono venuto a Leopoldov, P. Metodij abitava nel cosidetto "Vaticano". Questi edifici servivano, una volta, come locanda per i custodi della prigione, però più tardi furono adibite al gruppo "D". Questo edificio era stato riservato per i sacerdoti anziani, perciò era chiamato Vaticano. Aveva per caratteristica che le finestre, che conducevano al corridoio prima connesso agli appartamenti dei custodi, si potevano aprire sia da dentro che da fuori. Una volta è capitato, prima del Natale, penso proprio il giorno della Vigilia, che P. Trčka seduto nella nicchia della finestra cantava una canzone religiosa. Evidentemente vicino alla finestra, nel corridoio, passava il custode. Questi, vedendolo, ha aperto un po' la finestra e l'ha ascoltato; anche se P. Trčka cantava molto silenziosamente, penso che il custode abbia capito di cosa si trattasse. Così ho sentito, non voglio far torto a nessuno adesso, ma mi è rimasto nella memoria questo custode che era un giovane uomo, aveva come soprannome quello di "falco", perché alcuni prigionieri più anziani l'avevano conosciuto, anche secondo il nome proprio, però noi l'abbiamo conosciuto soltanto con uno dei soprannomi che circolavano tra i prigionieri e così li abbiamo identificati. Quando il custode ha sentito che il Padre cantava una canzone religiosa, ha chiamato il capitano delle guardie, perché egli non aveva le chiavi delle celle, e non poteva entrare nelle celle, perché le chiavi le aveva soltanto il capitano delle guardie, e così doveva telefonare a lui. Questi è venuto anche con altri, con uno oppure con due, non so, forse con la scorta, e hanno preso P. Trčka, dandogli come pena da scontare la condanna alla cella di isolamento, e precisamente in quella di correzione. Non era una semplice cella, ma era una cella parte di un grande reparto, le cui celle erano destinate alla carcerazione. Capitava che ce ne fossero di più, dipendeva quindi dal numero dei prigionieri e dai posti disponibili. A Leopoldov nelle celle di isolamento erano mandati soprattutto uomini, non voglio dire solo criminali, ma c'erano i prigionieri politici, i quali, non potevano essere chiamati con il nome di "politici", perché i comunisti dicevano che in Cecoslovacchia non esistevano "i prigionieri politici", semplicemente perché lo Stato non riconosceva la condizione di prigioniero politico. Tutti erano criminali, anche quelli che erano condannati a causa di un delitto politico, oppure per un altro atto criminale. A noi dicevano, "voi siete i criminali peggiori". Voi siete peggiori degli omicidi e secondo quest'idea che avevano di noi si sono comportati nei nostri riguardi. Al pianoterra di questo reparto di celle di isolamento c'erano altre celle. Queste celle di correzione erano infatti definite "prigione nella prigione". In quei giorni, se qualcuno aveva commesso qualcosa, riceveva come pena la cella di correzione dove avrebbe dovuto correggersi. Queste avevano una fisionomia speciale, soprattutto erano oscure. C'era una piccola finestra, ma anche questa era spesso chiusa con un coperchio di ferro. La cella di correzione aveva un pavimento di cemento e anche il letto era come un grande rettangolo di cemento sollevato da terra, ovviamente era fredda, e vi poteva dormire soltanto chi doveva scontare la pena. E affinché il detenuto non potesse dormirvi bene, vi erano murate delle asticelle che sporgevano da essa. Queste asticelle pungevano sempre il prigioniero che volesse riposare sul letto. In realtà, quando vi stava tre giorni, non poteva dormire bene, perché doveva sdraiarsi sul cemento e per la notte non poteva ricevere più di una coperta. Il cibo glielo davano ogni due giorni, quindi quando vi stava per tre giorni, due giorni soffriva la fame e solo per un giorno poteva ricevere qualcosa. P. Trčka è stato subito portato in cella di rigore e ha dormito sul cemento. Il giorno dopo, durante la mattinata, o già durante la notte, hanno chiamato il responsabile di salute, ma non so perché, forse perché il custode voleva scaricare ogni responsabilità o forse perché il padre Trčka si è lamentato, hanno chiamato quindi il servizio medico e questo è stato compiuto da un detenuto stesso, che era stato una volta studente di medicina. Questi mi ha detto di essere stato chiamato alla cella di rigore, in cui si trovava P. Metodij e mi ha sollecitato a prendermi cura di lui e a tentare di farlo trasferire in infermeria, perché stava nella cella di rigore. Ricordo anche che ad appoggiare la causa dei preti o a servirli era rischioso, si perdeva la posizione. Anche perché io venivo condannato per motivo di "pratica religiosa", quindi questo non poteva che peggiorare la mia situazione. Ero già noto come vicino ai preti, e così sempre, quando un sacerdote aveva bisogno, venivano i miei colleghi medici da me, per chiedermi di andare dal capitano a fare la proposta, affinché fosse ricevuto in infermeria ecc. Adesso già non ricordo bene, se ho chiesto io di vederlo, oppure se l'indomani avevo il servizio di medico e mi ci hanno portato. Questo adesso non so dirlo precisamente. Non è escluso, penso che sia molto probabile, che questo studente di medicina Prchlìk forse pensava che P. Trčka avesse una polmonite, e per questo hanno chiamato anche me. In seguito sono venuto e infatti aveva la febbre acuta sopra 40 , e aveva in effetti anche una polmonite, credo anche bilaterale, e così ho diagnosticato, perché fosse ricevuto in infermeria. Il capitano delle guardie non voleva concederlo assolutamente, e così gli ho detto che sarebbe stato responsabile, se fosse accaduto qualcosa a quest'uomo. Dopo essersi consultato con qualcuno, ha accordato unicamente che P. Metodij fosse trasferito dalla cella di rigore alla cella d'isolamento, dove c'era un pavimento di legno e anche un letto di paglia, così il padre ha potuto dormire sulla paglietta. Ho insistito ancora perché potesse avere una coperta, oppure due, per coprirsi per tutto il tempo, perché nella cella di rigore il carcerato aveva ricevuto solo una coperta per la notte. Ed una notte certamente, per quanto mi ricordo, vi ha trascorso, la sera e la notte certamente, ed il giorno seguente quando è uscito fuori. Dopo, per un certo periodo di tempo, nonostante la nostra scarsità, gli abbiamo dato dell'aspirina, ma ricordo che sempre stava così così, né bene né male. Ho provato di nuovo a chiederne il trasferimento all'infermeria, ma senza risultato. In seguito la febbre è diventata più stabile e solo per questo lo abbiamo assistito in tanti: sempre veniva qualcuno dei medici, alla cella d'isolamento. La mia storia finisce qui, perché dopo mi è stato vietato di andare da lui. Ma ho saputo più tardi, e mi è rimasto nella memoria, che questa situazione andava peggiorando sempre, finché morì. Quando ho parlato con P. Metodij, cioè quando gli ho chiesto scusa del fatto che non riuscivo ad ottenere il suo trasferimento all'infermeria, volevo che andasse, sapendo che ciò lo avrebbe aiutato tanto. La terapia sarebbe stata comunque migliore, avrebbe trovato migliore cibo e cure, sarebbero potuti arrivare anche migliori medicine. In ogni caso la sua morte fu condizionata dal fatto che era in cella di rigore - sono convinto di questo - e mi ha detto ancora di non nutrire nessun rancore per essi. Adesso non riesco a ripeterlo precisamente, ma l'essenziale è questo, il fatto che il padre ha mostrato bontà, perdono verso chi gli causava tutto ciò. Questo lo considero molto importante, che in questa situazione perdonava, pur sapendo che davvero non stava bene."
        P. Metodij fu trasferito nella cella soltanto perchè morisse. Lì P. Mastiliak si prese cura di lui, il santo del santo. "Quando eravamo nel corridoio di fronte alla finestra della cella dove giaceva malato in punto di morte, racconta padre Štefan Krištín, p. Trčka ha lanciato uno sguardo verso la finestra, io gli ho fatto cenno, subito ha reagito, ha alzato le mani verso il cielo e con gli occhi mi ha fatto capire che ci salutava prima di passare dal tempo all'eternità. P. Mastiliak che come dice lui stesso, aveva il letto accanto a quello di P.Trčka, comunque non fu presente alla sua morte, perché nello stesso tempo doveva lavorare in officina, ma attraverso un messaggero ha risaputo che cosa succedeva a P. Metodij. Riguardo a questi ultimi momenti di P. Metodij, ricorda: "Verso sera, mentre moriva, si trovavano nella camera solo i padri di maggiore età, che non partecipavano più ai lavori comuni. Noi altri abbiamo seguito la sua agonia in officina per mezzo di un corriere. Quando tornammo dal lavoro alle 10, il nostro padre era già morto da un'ora. Ciò è successo il 23 marzo 1959.
        Era in uso - racconta P. Mastiliak - lasciare il morto sul letto, ancora un'ora dopo la morte. Venuti gli infermieri dell'ospedale lo passarono all'obitorio. Il giorno dopo lo seppellirono, ovviamente senza nessun sacerdote, nel cimitero carcerario con l'assistenza di un custode."

Nell'aprile 1959 la famiglia ha provato a trasferire le sue spoglie alla città nativa Frýdlant, ma gli uffici mettevano ostacoli e purtroppo non ci riuscirono. Però almeno seppero dove si trovava la sua tomba. Secondo la loro testimonianza nel cimitero della prigione c'erano solo due file di tombe. Le altre tombe erano solo cumuli di terra con erba. P.Trčka era sepolto nella settima tomba della prima fila.

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